Approfondimento Frantz


Ascoltare la storia raccontata con le parole dell’altro: un passo necessario per accedere al perdono

Il bel film Franz, proposto dalla rassegna, ci immette nella situazione di un conflitto drammatico che si è concluso sul campo di battaglia, ma non si è ancora concluso nei sentimenti e ricordi dei popoli in lotta e che produce ancora odio, disprezzo, rifiuto e sensi di colpa. Guardandolo non ho potuto fare a meno di pensare alle situazioni di conflitto familiare in cui spesso sono impegnato come psicologo presso il consultorio in cui opero. Questi conflitti che portano le coppie talvolta alla separazione, non si esauriscono con la separazione stessa ma in alcuni casi perdurano per molto tempo anche dopo, coinvolgendo in questo anche i figli. Nei casi più gravi si assiste ad un vero rifiuto da parte del coniuge nei confronti dell’altro (“per me lui non esiste più”, “con lui non ci parlo”) e ad un parallelo rifiuto da parte dei figli che si schierano in modo più o meno condizionato con il genitore percepito come “migliore”. Gli psicologi hanno coniato un termine per indicare le forme estreme in cui il figlio, dopo la separazione, si rifiuta di avere contatti con il genitore non affidatario anche se questi è stato presente e adeguato prima della separazione stessa: la Sindrome di Alienazione Parentale. Come nel film, il dopo separazione talvolta è come un “dopo-guerra” : una parte si sente aggredita, ingannata, defraudata, distrutta, (pensiamo ad una persona che vive il tradimento e l’abbandono coniugale); si ritrova sola, con i figli di cui occuparsi. Possiamo capire che questi figli talvolta, anche senza espliciti condizionamenti, tendano a schierarsi con il genitori “ferito” e a rifiutare il genitore “colpevole”. Fanno corpo solidale con chi hanno visto piangere o sentono lamentarsi per la situazione di solitudine e di impoverimento che si è creata. La madre o il padre che prima era percepito dai figli come un genitore amorevole e attento, può venire drasticamente considerato inaffidabile e malvagio, egoista. Un episodio della storia familiare, la separazione, rischia di stravolgere l’intera considerazione che i figli costruiscono di un genitore. Ma la stessa cosa la si può osservare anche nel coniuge tradito: quel fatto, il tradimento appunto, cancella e azzera, anni e anni di sforzi condivisi, di stima, di passione. Per risolvere cognitivamente questo paradosso, quello che le persone dicono è più o meno questo: “non è più lei”, “è impazzita”, “non la riconosco più”. Per superare questo stato di scissione relazionale e anche interna alla persona stessa (“metà dei miei ricordi sono completamente perduti perché vissuti con una persona che non riconosco più”) sono necessari molti “gradini” di trasformazione mentale, ne suggerisco due, evocati dallo stesso film.
Il primo consiste proprio nell’ascoltare la storia raccontata dall’altro: quando queste parole non sono di giudizio o critiche ma si concentrano sulle sofferenze, i bisogni, le fragilità che una persona ha vissuto, producono una forma di riconoscimento. In alcune sedute di coppia talvolta accade che si trasforma la rabbia e l’odio reciproco in dolore comune: ognuno può esporre le proprie ferite e vedere le ferite dell’altro. Quando nel film il soldato francese legge la lettera alla fidanzata del soldato tedesco che ha appena colpito, riesce ad entrare nel dolore provocato e accede al senso di colpa.
Un secondo aspetto consiste nell’allargare la percezione al passato e al futuro, e non concentrare tutta la visione della realtà sulla ferita presente. Quando si include anche il passato non conflittuale si può recuperare l’umanità e la positività di quello che oggi sentiamo unicamente come un nemico e immaginare possibile che si possa in futuro ancora ricreare questa condizione. Quando i separati riescono a ricordare emotivamente che il partner, in questo momento odiato, è stato realmente un buon genitore, possono aprirsi alla fantasia che lo potrà essere anche in futuro e considerarlo come una risorsa necessaria per la vita del  figlio.  Anche in questo il film è psicologicamente convincente: solo includendo nella percezione della realtà una vita di amicizia tra il figlio e il soldato nemico, i genitori riescono a superare l’odio verso di lui. Anche se questa percezione è frutto di una bugia, essa rappresenta realmente una cosa che poteva accadere e che il protagonista voleva in cuor suo che accadesse. In questo il film ci ricorda che al di là della verità cronachistica (che cosa ho fatto) ciò che disegna le relazioni è soprattutto la verità affettiva ed emotiva: che cosa ho provato, desiderato e temuto.
Paolo Breviglieri - psicologo

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