La misericordia è uno
sguardo
Nella celebre icona copta dell’amicizia, custodita al Louvre,
ma fatta conoscere in tutto il mondo dalla comunità di Taizè, Cristo e l’amico
(l’abate Mena) sono raffigurati con gli occhi molto grandi, e spalancati. Non
solo. Sono anche affetti da strabismo. Mentre con un occhio guardano davanti a
sé, con l’altro si scrutano a vicenda. L’amicizia è, si dice, avere un occhio
di riguardo, comprendere l’altro senza bisogno di parole, entrare in profonda
empatia. L’amicizia è un rimando di sguardi, come quelli scambiati tra san
Francesco e fra’ Elia, nel film “Il sogno di Francesco”. Elia è un uomo attento
alla concretezza. Vede i problemi attorno a sé e vi pone rimedio. Ma un occhio
è sempre puntato su Francesco, sulla sua condizione fisica e spirituale.
Francesco, invece, ha lo sguardo completamente spalancato verso il mistero di
Dio. Però sa leggere i turbamenti e le obiezioni interiori di Elia, prima che
lui stesso se ne accorga. Quando, nel film, Francesco perderà l’uso della vista
(in almeno due episodi si troverà bendato) Elia dovrà tenere gli occhi bene
aperti per sostenere il sogno dell’amico. Francesco sorregge la Chiesa, Elia
sorregge Francesco. Anche sul Calvario
c’è un gioco di sguardi,quello del “ladrone pentito”: l’unico ad essere
ricambiato da Gesù, perché vede la miseria dell’altro con la stessa
misericordia con la quale l’altro guarda la propria.Da questa prospettiva
comune scaturisce il gesto d’amore, estremo, di Gesù: “oggi sarai con me in
paradiso” (Luca 23,43). E noi, che sguardi di misericordia abbiamo verso il
prossimo? I giovani di un campo estivo dell’A.C. mi hanno insegnato a scambiare
il segno della pace guardandosi negli occhi: augurare la pace è vedere
realmente l’altro, consegnandosi senza riserve. Quando un povero suona alla
porta, episodio frequentissimo in canonica, posso fare una elemosina veloce
togliendomi d’impiccio, oppure posso scegliere di conoscerlo, chiedergli il nome, cercare di capire cosa ha realmente
bisogno. Certo, fermarsi ad osservare è un grande rischio: quello di rimanere
invischiati nelle vite altrui, nei loro problemi. Ecco perché spesso si
preferiscono comunità anonime, liturgie
asettiche, solidarietà distanti, relazioni virtuali, successi facili e lutti
veloci. La carità, la misericordia, l’accoglienza, necessitano invece di tempi
adeguati; ti chiede la pazienza di scrutare, di cercare, di scandagliarein
profondità lo sguardo del prossimo. A volte mi capita di incontrare giovani
dagli sguardi spenti e anziani dagli occhi vivacissimi. Mi viene in mente
allora una massima di Gesù: "La lucerna del corpo è l'occhio; se
dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce”
(Matteo 6,22). Quando siamo spenti, abbiamo poca voglia di incontrare gli
altri: i nostri occhi hanno bisogno del collirio di Cristo (Apocalisse 3,18)
per tornare a vedere, il volto dell’amico che ci sorride.
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