Approfondimento "L'attesa"


“L'attesa” di Piero Messina


Vicini a chi vive nella “terra di mezzo” del lutto

Il lutto rappresenta una condizione  psicologica che, al di là delle differenze individuali, si configura con una serie di pensieri, comportamenti e stati emotivi tipici e per certi aspetti universali. In essa sono individuabili diverse fasi che in genere le persone attraversano lungo un determinato arco di tempo, la così detta elaborazione del lutto. Queste fasi vanno dalla negazione, incredulità, stordimento a momenti di disperazione e rabbia per arrivare ad una fase di riorganizzazione al termine della quale la persona sembra ritornare ad uno stato psichico molto simile a quello che ha preceduto il lutto stesso. Questa elaborazione può essere rappresentata come una sorta di terra di mezzo tra la consapevolezza della realtà della perdita e la percezione vivissima e altrettanto reale che la persona scomparsa debba essere ancora presente e attiva come prima. “Sembra impossibile che lui non ci sia più”, “lo sento ancora camminare per casa”, “ho ancora nelle orecchie quello che mi diceva”: queste sono le frasi frequenti che sentiamo ripetere nei periodi  successivi alla perdita dalle persone colpite. Non si tratta di un pensiero magico o spiritico, anche se talvolta questi vissuti sono spiegati da narrazioni culturali di questo tipo, ma sono più semplicemente il frutto del nostro sistema di ricordi e aspettative relazionali e affettive che continua a funzionare anche in assenza dell’oggetto verso cui sono rivolte. Per questo le persone in lutto vivono una sorta di dissociazione psichica dalla quale non possono per diverso tempo sottrarsi. Il film “L’attesa” ci trasporta con estremo realismo psicologico proprio al centro di questo stato di apparente disturbo del pensiero: so che non c’è più ma lo percepisco e lo penso presente. Il lavoro mentale del lutto consiste quindi in questa continua oscillazione tra due posizioni psichiche contraddittorie: da un lato il riconoscimento che la persona morta non c’è più, la necessità di distanziarsene e di continuare a vivere, e dall’altro la percezione che è “impossibile” che lui non ci sia più, il tentativo di ricercarlo ancora nella realtà, di fare come se lui fosse ancora vivo.  All’interno di questa oscillazione prendono forma alcune delle emozioni che tipicamente accompagnano il lutto e che talvolta facciamo fatica a giustificare: il torpore, una sorta di anestesia emozionale; il dolore profondo e paralizzante, che sembra annientare qualsiasi progettualità e possibilità di continuare a vivere; il senso di colpa verso la persona morta; la rabbia contro la vita o le condizioni che hanno causato la morte; la ricerca estenuante e ossessiva per restare in contatto con chi è scomparso; il timore oscuro e apparentemente incomprensibile verso lo stesso defunto. Come essere vicini alle persone che sono impegnate in un così profondo lavoro interiore? L’accompagnamento al lutto è fatto di poche e semplici indicazioni:
  • essere vicini con una presenza calma e premurosa, quasi come delle sentinelle che vegliano e rassicurano coloro che aspettano il passare delle tenebre;
  • favorire il contatto con le emozioni, accogliendole e cercando di dare loro parola, senza forzature o intrusioni, assecondando il loro normale fluire;
  • condividere, nel senso di “raccontare, rivivere e sentire insieme”, cercando di produrre un processo in cui le emozioni e le narrazioni vengono rispecchiate reciprocamente. 
Questo processo psichico così tormentoso, nella maggior parte dei casi tende a stemperarsi e a risolversi, soprattutto quando la persona colpita ha attorno a sé una rete di relazioni che riescono a svolgere le funzioni prima descritte e quando esistono dei dispositivi comunitari (riti, credenze, ecc.) che inseriscono l’esperienza personale in una più ampia cornice di significato. Il processo sarà completo quando la persona potrà continuare a vivere senza chi ha perduto, “lasciandolo andare” come si usa dire, e dall’altro portandolo con sé in una relazione interiore che resta sempre presente e vitale.   
                                                                                                                      Paolo Breviglieri

Nessun commento:

Posta un commento