Recensione “Benvenuti ma non troppo”

“Benvenuti ma non troppo” di Alexandra Leclere

L’inquadratura dall'alto riprende il taglio a fette di una grossa torta cremosa. Si apre in questo modo il film “Benvenuti ma non troppo” della regista francese Alexandra Leclere. Una falsa prefigurazione di un racconto edulcorato, dove il narrato potrebbe riguardare la condivisione, l’amicizia o altri valori simili, ma in realtà è un'entrée che serve da contrappunto per un boccone amaramente ironico offerto allo spettatore.
In una Parigi attanagliata dal freddo, il governo locale impone a coloro che hanno appartamenti spaziosi, di accogliere dei senza tetto per l’inverno. Tutto previsto secondo un calcolo, che stabilisce il rapporto tra abitanti e metri quadri della casa.
Un conto però sono i pronunciamenti, le intenzioni e il “potrebbe essere”, altro è il vissuto, cioè “l’essere”.C’è una posizione formale, di facciata, ideale e ideologizzata, c’è poi lo svelamento del volto visceralmente vero dei personaggi. Saltano gli ideali e le ideologie. La giustizia, sbandierata come virtù, diventa accomodamento per l’interesse personale che trova sempre le sue plausibili ragioni.
Così in un lussuoso palazzo del centro troviamo i coniugi Bretzel, di vedute aperte, di “sinistra”, capaci di manifestare per gli indigenti; tolgono il parquet a pavimento - che “fa borghese”- ma fanno carte false per evitare l’indesiderato nuovo inquilino. La famiglia Dubreil, che invece borghese lo è con vanto e convinzione, riscopre un incontenibile senso di amore figliale andando a riprendersi gli anziani del ricovero per ridurre così lo spazio a disposizione.L’unico disposto ad accogliere è spinto da un egoistico desiderio di vicinanza nato dalla solitudine e dall'abbandono. C’è persino chi specula sulla povertà organizzando uno scambio a pagamento degli ospiti più o meno fastidiosi.
Il cinema francese ci ha dimostrato, ancora una volta, di essere capace di trattare argomenti scomodi in modo ironico. Una leggerezza che fa divertire, ma che porta, una volta scemato il sorriso, a riflettere sulle debolezze e sulle potenzialità dell’animo umano. La più grande povertà – scopriranno alla fine i nostri personaggi, in modo quasi infantile - è non avere amici.
Davanti a questo film è facile mantenere un certo distacco emotivo e guardare al racconto con sufficienza. In fondo ci sembra paradossale. Ma lo è veramente?
Senza andare “oltr'alpe”, basterebbe ricordare lo “scandaloso” sequestro degli appartamenti sfitti che fece, con coraggio, il sindaco di Firenze,Giorgio La Pira, di fronte all'emergenza sfratti che buttava sul marciapiede migliaia di persone.
Trovò oppositori dentro e fuori il suo partito. Correva l’anno 1953. Così lontano da noi? Chissà? Erano distanti ancora i primi vagiti dell’Europa politica. Forse allora le emergenze erano considerate tali. E il bene comune era una parola che aveva un certo peso sulla coscienza.

Enzo Riccò

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