Approfondimento “Benvenuti ma non troppo”

“Benvenuti ma non troppo” di Alexandra Leclere

“ERO FORESTIERO E MI AVETE ACCOLTO”
La formulazione della quarta opera di misericordia corporale può avere più declinazioni: nel catechismo tradizionale si parla di “alloggiare i pellegrini” E nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo “ospitare i senzatetto”. Nel Vangelo si legge invece: “Ero forestiero (xénos) e mi avete accolto” (Mt 25,35).
Credo che proprio l'accoglienza allo straniero sia l'interpretazione più impegnativa e attuale, perché la portata di questo fenomeno di massa è davvero un segno dei tempi, una chiamata di Dio, la sfida più grande per i cristiani di oggi (e per tutte le persone di buona volontà): fare della nostra casa un luogo di comunione, di condivisione con migranti, profughi e rifugiati. E con casa intendo anche la Comunità, il Paese, la Terra.
Come tutti gli avvenimenti che ci toccano da vicino, l'esodo in corso ha messo in crisi la nostra identità, ci ha disorientati, ha suscitato in noi paure e istinti di difesa, ha fatto gridare all'invasione. Lo sconosciuto è tornato a essere il nemico di cui diffidare e da respingere. Ma se è umano avere paura, essere prudenti, essere un po' gelosi dei propri spazi, sono inumani - e anti cristiani - la chiusura, l'ottusità, il rifiuto, il respingimento.
Gesù ci invita a andare oltre le nostre paure, superare i nostri recinti, tenere la porta aperta, aprire a chi bussa; ci insegna che ascoltare col cuore è dare spazio anche a ciò che ci infastidisce, che ci è scomodo, che non condividiamo; è fare lo sforzo di tenere in sospeso i (pre)giudizi o anche le aspettative. È essere disposti a farci contaminare.
La realtà di queste migrazioni ci offre una grande occasione per testimoniare e diffondere una cultura dell'ospitalità.
Come tradurre in termini più praticabili quest'opera così impegnativa? Parlando a livello individuale, direi che l'unica risposta è fare ognuno del proprio meglio, secondo le proprie possibilità. A partire dall'opporsi agli slogan razzisti strombazzati sul web e sui media; dal cercare di conoscere in prima persona; dal provare ad ascoltare davvero. E se qualcuno vuole, e può, andare oltre, esistono molte associazioni e realtà a cui offrire un po' di tempo. Ho da poco scoperto una piattaforma per far incontrare chi vuole mettere a disposizione una stanza nella propria abitazione con chi fugge da guerre e povertà in cerca di una nuova vita.
Ma saremmo superficiali e ingenui a pensare che accogliere significhi soltanto aprire le porte. E qui saliamo di livello nella piramide delle responsabilità: occorre non permettere che l’ospitalità diventi per qualcuno un business; vigilare perché sia possibile un’accoglienza intelligente, in grado di permettere a tutti una convivenza buona; pensare a come dare a tutti la possibilità di partecipare alla vita sociale, lavorativa e politica del paese ospitante, rispettandone la cultura e le tradizioni, ma avendo la possibilità di arricchire quel paese con la cultura del proprio luogo di provenienza.
Certo, è un fidarsi dell’altro illogico, pericoloso, per molti scriteriato. Come tante proposte evangeliche. E anche nella Chiesa serve più coraggio, servono testimonianze credibili.
Se ci trinceriamo dietro la preoccupazione di preservare le nostre radici culturali, se continuiamo a distinguere tra “rifugiati” e “migranti economici” (come se la fame, la siccità, l’assenza di prospettive per il futuro non fossero motivi sufficienti per cercare qualcosa di meglio). Se non accogliamo questa sfida, allora il nostro sarà quanto meno un peccato di omissione.
Saremo ricordati per aver aperto il cuore e le città o per esserci trincerati nell’egoismo e nell'indifferenza? Come può essere possibile respingere lo straniero e continuare a pregare il Dio del Vangelo di Matteo? Come affrontare il giudice giusto quando ci dirà: “ero forestiero e non mi avete accolto”?
                                                                                                       Vittoria Poli

Nessun commento:

Posta un commento