Recensione “Le ricette della signora Toku”


“Le ricette della signora Toku” di Naomi Kawase

I rami fioriti dei ciliegi bucano prepotenti la monotonia di un anonimo quartiere pieno di palazzi, scale di servizio, gente che corre al lavoro. La meraviglia della vita riesce a farsi strada tra il grigiore di una giornata senz'anima, così il passo lieve e stupito dell’anziana signora Toku si contrappone all'incedere stanco e rassegnato di Sentaro che fin dal primo mattino si reca al piccolo negozietto di frittelle. Il film si costruisce tutto attorno a questo contrasto e a questa sotterranea domanda: come è possibile ringraziare la vita e gioire di essa nella condizione di solitudine, separazione o malattia? La signora Toku è uno di quei personaggi che non si dimenticano: ferita nel corpo dalla lebbra che le ha deformato le mani, ferita nella sua umanità cresciuta nella separatezza di un sanatorio, con il sogno di un bambino che le è stato negato, esce nella città come una fragile Gelsomina per regalare ciò che sa fare, frittelle squisite che incantano il palato. Esce soprattutto per ricercare un altro essere umano a cui regalare quello che lei stessa è riuscita a distillare dalla sua vita così sofferta: una saggezza semplice e candida che la rende capace di ringraziare per ogni piccola fonte di gioia che la giornata può offrire.
La storia che la regista giapponese Naomi Kawase ci propone è molto semplice: Sentaro è un uomo disincantato e solo che conduce con rassegnazione un piccolo chiosco in cui vende frittelle ripiene di una tipica marmellata di fagioli rossi. Alle sue spalle vi è una vita difficile e una madre perduta senza un commiato. Un giorno compare in cerca di un lavoro ma soprattutto di un momento di contatto umano la signora Toku che si propone di lavorare per lui per preparare la marmellata che riesce a fare in modo delizioso. Questa ha trascorso buona parte della sua vita in un sanatorio a causa della lebbra che ancora le deturpa le mani; pur essendo anch'essa sola ha in sé un senso contagioso di gratitudine e di stupore verso il creato. A partire dalla stessa preparazione della sua mitica marmellata, Toku si rivolge agli ingredienti come se fossero animati e vivi, esseri da rispettare e da trattare con dolcezza: “Li dobbiamo accogliere nel modo giusto” – dice Toku a Sentaro che non capisce a cosa si riferisca e risponde “I clienti vanno accolti bene”. – “Io parlavo dei fagioli.” Ribatte Toku.
Ciò che incanta in questo film è proprio questo atteggiamento che emerge sempre più esplicitamente nelle parole e nei gesti dell’anziana signora: una sorta di francescana umiltà e letizia che la fa entrare in comunione con gli altri esseri e presenze: a impegnarsi ad esempio in una magica “promessa a tre” con una giovane conosciuta nel negozio, lei stessa e la luna che assisteva alla scena.
Al termine Toku lascerà a Sentaro una sorta di testamento spirituale che si può sintetizzare in questa frase: "Noi siamo nati per osservare e ascoltare questo mondo; è solo così che, anche senza riuscire nella vita, possiamo trovare, possiamo davvero trovare, un senso alla nostra esistenza" Questa saggezza e questo esempio libereranno lo stesso Sentoro dal sentirsi un “forzato della vita” e gli permetteranno di reinventare il suo ruolo di umile venditore di frittelle non più però cupo e frustrato ma pieno di partecipazione e gioia. L’opera di misericordia rappresentata da questo film è alquanto misteriosa: Sentaro ha in effetti accolto Toku che era malata nel corpo, ma la stessa ha liberato Sentaro dalla sua triste rassegnazione… Forse si tratta di una nuova opera: liberare i prigionieri.

Paolo Breviglieri


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